L'EUROPA CANCELLA IL PIANO SULLE POMPE DI CALORE
Un altro colpo al Green Deal o semplice stupidità avverso l'autonomia energetica
31 ottobre 2025
La Commissione Europea ha deciso di abbandonare ufficialmente l’Heat Pump Action Plan, annunciato nel 2023 come strumento cardine per accelerare la diffusione delle pompe di calore in edilizia, industria e reti locali di calore.
Il piano, che si inseriva nel quadro del Green Deal e di REPowerEU, prevedeva azioni coordinate su più fronti: partenariati istituzionali e industriali, programmi di ricerca e innovazione, iniziative di comunicazione e formazione, nuove regole su ecodesign ed etichettatura energetica, oltre a misure per facilitare l’accesso ai finanziamenti. Nonostante il sostegno di numerosi Stati membri, di oltre sessanta CEO del settore e di diverse organizzazioni civili, la Commissione ha scelto di interrompere il percorso, lasciando un vuoto strategico in un ambito considerato cruciale per la decarbonizzazione.
La reazione dell’European Heat Pump Association (EHPA) - di cui CSIM è Socio - è stata immediata e fortemente critica. L’associazione ha sottolineato come le pompe di calore rappresentino una tecnologia chiave non solo per ridurre le emissioni, ma anche per rafforzare la sicurezza energetica europea, grazie alla possibilità di alimentarle con energia rinnovabile prodotta localmente. EHPA ha chiesto che almeno alcuni elementi del piano cancellato vengano recuperati e integrati in altre strategie comunitarie, come la futura Heating and Cooling Strategy o l’Electrification Action Plan. In particolare, l’associazione insiste sulla necessità di rendere economicamente accessibile la transizione, intervenendo su sussidi e tassazione energetica, e di garantire stabilità normativa attraverso obiettivi chiari e vincolanti.
Dal punto di vista critico, la scelta della Commissione appare contraddittoria. Da un lato, l’Unione Europea ribadisce costantemente l’urgenza di ridurre la dipendenza dai combustibili fossili e di accelerare la transizione energetica; dall’altro, rinuncia a un piano organico che avrebbe potuto dare coerenza e visibilità politica a una tecnologia già matura e strategica. L’abbandono rischia di generare incertezza tra investitori e produttori, proprio in un settore che necessita di stabilità regolatoria per pianificare investimenti industriali e innovazione tecnologica.
Un altro nodo centrale riguarda la convenienza economica per famiglie e imprese. Senza un riequilibrio dei meccanismi fiscali e degli incentivi, le pompe di calore rischiano di rimanere una soluzione di nicchia, nonostante il loro potenziale di riduzione dei costi di rete e di decarbonizzazione dei processi industriali sotto i 200 °C. In questo senso, la raccomandazione di EHPA di renderle la soluzione standard per tali applicazioni è tecnicamente fondata, ma difficilmente realizzabile senza un chiaro sostegno politico e finanziario.
In conclusione, la cancellazione del Heat Pump Action Plan rappresenta un passo indietro sia simbolico sia operativo. Pur restando la possibilità di integrare misure simili in altre strategie, il messaggio inviato al settore è ambiguo: si riconosce l’importanza delle pompe di calore, ma si rinuncia a un quadro unitario che avrebbe potuto garantire stabilità, coerenza e fiducia al mercato. La sfida ora sarà capire se le nuove iniziative europee sapranno colmare questo vuoto o se il settore dovrà affrontare un rallentamento proprio nel momento in cui la transizione energetica richiede maggiore accelerazione.
La cancellazione del Heat Pump Action Plan non è solo una questione di politica industriale o di coerenza normativa: ha implicazioni dirette sull’autonomia energetica dell’Europa e sulla traiettoria delle emissioni. Le pompe di calore, grazie a un coefficiente di prestazione (COP) tipicamente compreso tra 3 e 4 (ed anche molto di più), riescono a fornire tre o quattro unità di calore utile per ogni unità di energia elettrica consumata. Le caldaie tradizionali, anche nelle versioni a condensazione più efficienti, non superano rendimenti prossimi al 90‑95%.
Questo significa che, a parità di calore erogato, una caldaia richiede oltre quattro volte più energia primaria rispetto a una pompa di calore alimentata da elettricità rinnovabile. La differenza non è marginale: si traduce in un aggravio strutturale sulla domanda di gas e petrolio, in una maggiore esposizione alle importazioni e in un incremento delle emissioni climalteranti. Al contrario, la diffusione delle pompe di calore riduce drasticamente il fabbisogno di energia primaria fossile e rafforza l’autonomia energetica, perché sposta i consumi verso una risorsa – l’elettricità rinnovabile prodotta localmente – che può essere pianificata, accumulata e gestita in modo flessibile.
Rinunciare a un piano organico per il loro sviluppo significa quindi rinunciare a un moltiplicatore di efficienza che avrebbe potuto ridurre consumi ed emissioni in misura sostanziale. In un contesto in cui ogni punto percentuale di dipendenza energetica pesa sulla sicurezza e sulla competitività europea, la scelta appare non solo tecnica ma strategica: senza un’accelerazione decisa sulle pompe di calore, l’Europa rischia di consumare quattro volte più energia primaria del necessario e di compromettere i propri obiettivi climatici e di autonomia.
La Redazione