Gestire rifiuti? Si, ma pochi e a casa propria!
Evitare le trappole amministrative e penali con semplicità, evitando di produrli.
03 giugno 2025
Per ogni impresa una delle grane più terribili è la gestione dei rifiuti, per i quali esiste sempre il dubbio relativo a come comportarsi per fare bene le cose ed evitare di essere (per lo meno) sanzionati.
Partiamo in maniera semplice da cosa è rifiuto, con preciso riferimento alla nostra attività nella refrigerazione e condizionamento.
Partendo dalla definizione (che vedremo più avanti :-) , determiniamo una prima categoria: i materiali "rifiuti per Legge". Un materiale può essere considerato rifiuto anche se il proprietario non ha espresso volontà di liberarsene se è obbligato a farlo per legge.
Rifiuti per Legge
Alcuni esempi di rifiuti che diventano tali indipendentemente dalla volontà del proprietario includono:
- Rifiuti accidentali, come quelli pescati in mare o raccolti durante campagne di pulizia (ad esempio di una sala macchine, liberata per irspettare le norme!).
- Residui di produzione, che non possono essere riutilizzati senza un trattamento specifico (sfridi, trucioli, etc).
- Materiali abbandonati, anche se il proprietario non ha formalmente deciso di disfarsene (banchi frigoriferi o unità buttate nel piazzale di cui il Cliente vuole disfarsi).
Vi sono poi, tra gli altri, i refrigeranti come l'R22 (HCFC) e l''R12 (CFC) che sono stati messi al bando dalla normativa europea e italiana perché dannoso per l'ozono. Dal 1° gennaio 2015, il suo utilizzo e distribuzione sono stati completamente proibiti, rendendoli di fatto un rifiuto obbligatorio da smaltire correttamente.
Ed ancora, su un altro fronte, i materiali accatastati in modo incontrollato in una cesta sul furgone di un artigiano, per i quali la loro classificazione come rifiuti dipende da diversi fattori. Se sono scarti di lavorazione (trucioli o altro), materiali dismessi o non più utilizzabili, possono essere considerati rifiuti anche se il proprietario non ha esplicitamente deciso di disfarsene. Inoltre, se vengono accumulati in modo disordinato, senza un intento chiaro di riutilizzo, potrebbero essere classificati come rifiuti ai sensi della normativa ambientale.
Infatti, il Testo Unico Ambientale (TUA) vieta l'abbandono e il deposito incontrollato di rifiuti sul suolo e nel suolo, come stabilito dall'articolo 192 del D.Lgs. 152/2006. Ma, se i rifiuti accumulati nel camion di un artigiano sono scarti di lavorazione e vengono depositati senza un criterio di gestione, potrebbero essere considerati dalle forze dell'ordine un deposito incontrollato, con possibili conseguenze amministrative o penali.
In particolare, l'articolo 255 del Codice dell'Ambiente prevede sanzioni per chiunque abbandoni o depositi rifiuti in modo incontrollato, con multe che possono variare da 1.000 a 10.000 euro, raddoppiate in caso di rifiuti pericolosi. Inoltre, se il deposito incontrollato è prodromico a una successiva fase di smaltimento o recupero, potrebbe configurarsi come una gestione illecita di rifiuti, con conseguenze penali più gravi.
Definzione di rifiuto: un impegno "attivo"
La definizione di rifiuto è estremamente chiara, ed è di massimo interesse gestirne la "produzione".
Secondo l'articolo 183 del D.Lgs. 152/2006 un rifiuto è qualsiasi sostanza o oggetto di cui il detentore si disfi, abbia l'intenzione o l'obbligo di disfarsi.
Si tratta quindi di una definizione "attiva", per la quale il detentore (il proprietario, ad esempio, di una apparecchiatura di climatizzazione o refrigerazione), è necessario che si esprima per un comportamento inequivocabile che porti a non dover interpretare la sua volontà di disfarsi di un prodotto, oggetto o materiale.
Alcuni esempi di nostro interesse possono essere:
- un contratto di appalto (ordine) che esplicita, con l'acquisto di una nuova apparecchiatura, la volontà di disfarsi della vecchia ("...tra le attività da svolgere vi è lo smaltimento della vecchia apparecchiatura"; qui la volontà di disfarsene è scritta nero su boanco);
- l'adesione ad una formula di acquisto secondo i Bonus che richiedono il ritiro del rifiuto (la Finanziaria 2025 ha previsto il riconoscimento di un contributo per l’acquisto di elettrodomestici a elevata efficienza energetica non inferiore alla nuova classe B, prodotti nell’UE, con contestuale smaltimento dell’elettrodomestico sostituito).
Ed ecco che, finalmente, arriviamo al punto.
Non produciamo rifiuti, ma gestiamo prodotti usati
Se non vi è l'espressa volontà del Cliente di disfarsi di una apparecchiatura, questa non è rifiuto, ma è un prodotto usato (magari non funzionante secondo la sua destinazione d'uso, ma comunque - al mero fine della nostra digressione - riutilizzabile in tutto o in parte o da destinare ad altro uso).
Possiamo (dobbiamo) quindi impegnarci nel ruolo di "influencer", guidando il Cliente nel non produrre rifiuti ogni volta che lo riteniamo opportuno e... appropriarcene (ci conviene). In questo caso, una volta superata la questione IVA, possiamo gestire il prodotto ritirato nella nostra officina.
Vediamo qualche nota relativa alla necessità di effettuare l'operazione in modo corretto anche dal punto di vista fiscale.
Infatti, per evitare problemi legati all'evasione IVA (e non ricadere nella fattispecie della presunzione di cessione) nel ritiro di un'apparecchiatura usata da un cliente e poi rivenduta, è importante seguire alcune procedure fiscali corrette:
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Emissione di un documento di trasporto (DDT): Quando si ritira l'apparecchiatura usata, puoi emettere un DDT con causale "ritiro usato" per documentare il trasferimento del bene.
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Fatturazione corretta: il cliente dovrebbe emettere una fattura di importo superiore al residuo valore patrimoniale, ovvero di qualche euro. Se il ritiro dell'usato avviene a fronte della vendita di un prodotto nuovo o di servizi, è possibile gestire l'operazione con una fattura che evidenzi la compensazione tra il valore del bene usato e quello del nuovo o dei prodotti/servizi forniti.
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Registrazione contabile: È fondamentale registrare correttamente l'operazione nei libri contabili, indicando il valore del bene ritirato e la modalità di gestione fiscale.
Se l'apparecchiatura ritirata viene rivenduta, si deve stare molto attenti rispetto alle contestazioni per presunzione di cessione, un principio fiscale previsto dal DPR 441/1997. Secondo questo decreto si presumono ceduti i beni acquistati, importati o prodotti che non si trovano nei luoghi in cui l'impresa svolge le proprie operazioni. Questo significa che, se un'azienda non riesce a dimostrare la destinazione di determinati beni, l'Agenzia delle Entrate può considerare che siano stati venduti senza dichiarazione fiscale, con conseguente evasione dell'IVA.
Come si può evitare la presunzione di cessione?
Dobbiamo occuparcene nel caso in cui rivendiamo l'usato o sue componenti. La presunzione può essere superata se l'impresa dimostra che i beni:
- Sono stati impiegati nella produzione, perduti o distrutti. Nel caso di un artigiano, l'impiego in produzione può essere, ad esempio, la "lavorazione" dell'usato in officina per ricavarne parti di ricambio, e la carcassa essere smaltita definendola (ne siamo proprietari a valle dell'acquisto) rifiuto, ovvero disfandocene e sistemandola nel Deposito Temporaneo dei Rifiuti DTR della nostra azienda.
- oppure sono stati consegnati a terzi per lavorazione, deposito, comodato o altri contratti non traslativi della proprietà.
Se la presunzione di cessione porta a una contestazione di evasione IVA, le sanzioni possono essere molto severe:
- Sanzione amministrativa: può variare dal 90% al 180% dell'IVA evasa.
- Sanzione penale: se l'importo evaso supera i 50.000 euro, può scattare la reclusione da 6 mesi a 6 anni.
Per evitare problemi, è fondamentale documentare correttamente la movimentazione dei beni e conservare registri contabili dettagliati, cioè - come sopra descritto - la "lavorazione" interna e la destinazione dei residui a DTR.
Nel caso in cui l'usato ritirato, con la lavorazione in officina, abbia prodotto ricambi (usati) poi rivenduti ai Clienti, dovranno esser prodotti i seguenti documenti:
1) bolla di lavorazione interna, con indicazione di:
- Ore di manodopera impiegate.
- Materiali utilizzati (eventuali) per la lavorazione.
- Costo della lavorazione, se necessario per la contabilità interna.
2) autofattura, a documentare l'operazione interna di trasformazione del bene. Deve contenere:
- Dati dell'emittente, la nostra Impresa (che coincide con il destinatario).
- Descrizione dei beni ottenuti dallo smontaggio.
- Valore attribuito ai ricambi (può essere determinato in base al valore stimato dell'usato e ai costi di lavorazione).
- IVA applicata, se prevista.
3) I ricambi ottenuti devono essere registrati nel registro di magazzino, con:
- Codici identificativi (eventuali) per ogni pezzo.
- Quantità e valore attribuito.
- Data di immissione.
A valle, alla vendita, verrà emessa una usuale fattura di vendita.
Quindi, a meno che non vi sia la necessità di produrre rifiuti, cercheremo di non produrne (!) ma anche se ne producessimo li potremmo far gestire al detentore.
La non produzione di rifiuti in "cantiere", però, non esula le imprese dall'iscrizione obbligatoria all'Albo dei Gestori Ambientali. L'articolo 212 del Codice dell'Ambiente (D.lgs. 152/2006) indica tale necessità per un'impresa frigorista, in quanto rientra tra i produttori di rifiuti speciali pericolosi.
In particolare, queste imprese devono iscriversi perché producono rifiuti - oltre a quelli tradizionali - come oli minerali, refrigeranti contenenti clorofluorocarburi (CFC, HCFC, HFC), imballaggi contaminati da sostanze pericolose e apparecchiature fuori uso.
L'iscrizione è necessaria per garantire la corretta gestione e tracciabilità di questi rifiuti, in conformità con la normativa ambientale vigente.
Ogni impresa, a valle dell'iscrizione, deve avere un Deposito Temporaneo di Rifiuti (DTR), il raggruppamento dei rifiuti effettuato prima della raccolta, nel luogo in cui sono stati prodotti, in attesa del loro trasporto verso un impianto di recupero o smaltimento. Per i manutentori (quelli con codici Ateco 33.12 e 43.22) hanno la possibilità di avvalersi della "finzione giuridica" che gli permette di spostare i rifiuti prodotti in cantiere presso la propria officina senza documenti particolari (art. 286 c. 4 ss.mm.ii.).
ATTENZIONE: le imprese con codice Ateco 28.25 (fabbricanti di apparecchiature per la refrigerazione) non possono avvalersi di tale vantaggio.
Ricordiamo alcuni aspetti chiave del DTR:
- Deve essere effettuato nel luogo di produzione dei rifiuti (il luogo di produzione è l'officina per i manutentori).
- I rifiuti devono essere raggruppati per categorie omogenee, rispettando le norme tecniche.
- Per i rifiuti speciali non pericolosi, il deposito deve essere svuotato ogni 3 mesi o al raggiungimento di 20 metri cubi.
- Per i rifiuti speciali pericolosi, il deposito deve essere svuotato ogni 3 mesi o al raggiungimento di 10 metri cubi.
- Il deposito non può avere una durata superiore a 1 anno,.ovvero non si possono detenere i rifuiti per più di un anno.
- Deve rispettare le norme di imballaggio ed etichettatura per i rifiuti pericolosi.
Se il deposito temporaneo supera i limiti previsti, può essere considerato stoccaggio e richiedere un'autorizzazione specific
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La Redazione